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Waterloo - di Bernard Cornwell
18 giugno 1815, il sole di Austerlitz non brilla più da tempo e Napoleone Bonaparte non vuole rendersi conto che ha imboccato la parte discendente della parabola. Fuggito dall'isola d'Elba, l'imperatore è riuscito nuovamente a entusiasmare i francesi, facendo leva su quella “grandeur” che lui ancora riesce a rappresentare. Ma i nemici di sempre incombono, occorre armarsi e precederli, non importa se il numero degli arruolati è complessivamente inferiore a quello degli eserciti degli alleati a lui ostili, basta ripetere quella manovra che gli è sempre riuscita, dividerli e sconfiggerli uno alla volta. Onde evitare che arrivino sul teatro di guerra anche i Russi e gli Austriaci, rallentati dalle distanze, si deve per forza di cose combattere contro gli inglesi e i prussiani. La strategia è sempre quella, dividere gli avversari e sconfiggerli singolarmente, e i fatti all'inizio sembrerebbero dargli ragione con una vittoria facile sui prussiani, ma questi non sono del tutto sconfitti, tanto più che i francesi li inseguono, in quella che è una loro apparente ritirata, con una forza ridotta, che prima faticherà a localizzarli e poi combatterà a lungo con la loro retroguardia. Il vero scontro è a Waterloo, fra i francesi e gli inglesi del duca di Wellington, in una battaglia sanguinosa sempre incerta nella sua conclusione, ma i tempi dell'invincibilità napoleonica sono tramontati, l'imperatore non è più quello di un tempo, ha perso molti dei suoi preziosi marescialli e se anche arriva a un palmo della vittoria la resistenza disperata del comandante britannico consentirà ai prussiani di unirsi agli inglesi e decreterà la sconfitta della Grande Armée.
In tanti hanno scritto di questa battaglia, il cui esito ha determinato conseguenze fatali per l'Europa, ritornata agli stati divisi e conservatori di prima della Rivoluzione francese, e ognuno ha detto la sua. Ci ha provato anche Cornwell, noto autore inglese di romanzi storici. In questo caso, tuttavia, ha preferito anteporre la storia alla narrativa, con Waterloo che è l'esatta cronistoria di quanto avvenne. E' un dramma continuo, con un macello senza precedenti e migliaia di vittime (si parla di 25.000 uomini per i francesi, 20.000 per gli inglesi e 4.000 per i prussiani) e se devo essere sincero fra tanti morti, mutilati, feriti lasciati senza l'indispensabile aiuto a un certo punto mi è venuto un senso di angoscia, che non mi aveva prese leggendo La battaglia. Storia di Waterloo, uscito dalla penna di Alessandro Barbero, opera che secondo me è più riuscita. Non è che il libro di Cornwell non sia interessante, perché invece lo è, ma la differenza sta tutta nell'aver affrontato lo stesso tema con un spirito diverso; infatti Barbero ha calcato un po' meno la mano sull'orrore, pur non tacendolo, ma senza eccessi, con un distacco più da inglese che da italiano.
Waterloo è in ogni caso da leggere perché è un saggio storico completo, ma non per questo greve.
RENZO MONTAGNOLI - 12 ore fa
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Cuore nero - Silvia Avallone
Primo approccio con la scrittura di Silvia Avallone e, ahimé, da definirsi non proprio positivo. Forse è la storia narrata in cui si dice e non si dice, forse è la ricerca da parte della narratrice di una vicenda che tutto sommato mi sembra poco plausibile, ma sta di fatto che, stile a parte, di cui poi dirò, Cuore nero non mi è piaciuto. Questa ricerca che fa la protagonista di un rifugio, di un luogo isolato in cui fare i conti con la propria esistenza e poi ricominciare ha un origine che incombe sull’opera e che si svelerà non da subito, il che secondo me invece avrebbe consentito al romanzo di prendere una piega diversa e migliore. Poi Sassaia, il posto disabitato in cui si rifugia, risulterà non proprio abbandonato da tutti, tanto da far nascere una storia con un giovane maestro, pure lui alla ricerca di solitudini. L’impressione che ho avuto è di idee un po’ confuse, di tanti ingredienti messi al fuoco, ma senza un ordine logico, tanto, anche per l’italiano spesso gergale, sono non poche le pagine che mi hanno provocato noia.
Sarò una voce fuori dal coro (a tanti è piaciuto, ha vinto dei premi), ma a me piace in tutta sincerità dire quel che penso, senza pretendere ovviamente che gli altri siano d’accordo con me.
Aggiungo che ho cercato anche di farmelo piacere, ma francamente Emilia – questo è il nome della protagonista – mi risulta un personaggio scostante, in cui non trovo note positive a cui agganciarmi per poterlo vedere in una luce diversa.
RENZO MONTAGNOLI - 4 giorni fa
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Il fuoco che ti porti dentro - Antonio Franchini
Certo è che la letteratura è piena di personaggi cattivi, figure che sembrano nate nell'impossibilità di condurre una vita normale e relazionale, spesso inseriti dagli autori per dare maggior risalto ai buoni. A freddo mi viene in mente O'Brien di 1984, quel funzionario bonaccione che si finge solidale con i ribelli, ma in effetti è un doppiogiochista. Più che cattivo il personaggio è uno che si comporta in modo cattivo e nulla vieta che in altre circostanze, al di fuori della sua missione, sia capace di intrattenere normali relazioni con il prossimo. In Il fuoco che ti porti dentro, invece, Angela, la protagonista, detesta tutti, non c'è nessuno che non sia vittima, potenziale o effettiva, della sua cattiveria; francamente è una donna impossibile e se lo dice l'autore, che è suo figlio, c'è da crederci. Premetto che questi esseri che non sono capaci di relazionarsi normalmente con altri e che sembrano odiare tutti sono cattivi senza esserne consapevoli e quindi è ancor più difficile aiutarli, raddrizzarli.
Giunto all'ultima pagina, con alti e bassi di gradimento, mi sono chiesto il motivo per il quale Antonio Franchini ha scritto questo libro, ponendo in evidenza un personaggio che è decisamente negativo.
E' forse stato il desiderio di giustificare i comportamenti della madre, o piuttosto è stato lo sfogo di un figlio che dalla genitrice non ha potuto avere quell'insegnamento che si sarebbe atteso? O piuttosto, nel delineare questa figura, assolutamente da evitare, ha forse voluto porre in evidenza i difetti dell'italica gente, che sono tutti presenti in Angela?
Franchini in verità cerca di fornire una o più risposte, come per esempio il trauma della guerra che ha vissuto da bambina, oppure la morte troppo presto del padre, con una madre invece che è defunta molto più tardi e che le ha reso difficile la vita nel periodo più delicato, che è quello dell'adolescenza, alimentando di continuo l'odio verso il prossimo, quasi volesse scaricare nella figlia – peraltro riuscendovi – quella frustrazione che l'attanagliava.
Personalmente penso che possano esistere più cause, ma la principale è che una nasce così, magari portandosi appresso quella parte negativa del DNA che Angela ha avuto dalla madre.
E' comunque apprezzabile questo ricordo, per molti aspetti doloroso, che l'autore ha della madre, perché non è da tutti mettere in piazza certi aspetti negativi, a meno che non serva a giustificare, chiedendo così implicitamente perdono.
Se Angela era portata agli eccessi, Antonio Franchini invece è misurato nell'esposizione, in cui cerca di usare una mano leggera, consapevole anche del rischio che a forza di parlare del protagonista principale si corre il rischio di farlo diventare simpatico. Ma Angela non è antipatica, né simpatica, è semplicemente così, impossibile, deleteria, tremendamente seria anche quando i suoi comportamenti hanno dei risvolti comici.
Prima ho detto dei miei alti e bassi di gradimento, e non a caso, perché pur comprendendo le difficoltà dell'autore nello scrivere questo libro la presenza continua del personaggio principale a volte mi ha un po' stancato e non a caso la parte che più ho gradito è quella di quando lui va a Milano ospite dello zio Francesco; sono alcune pagine in cui Angela è sullo sfondo, ma non domina la scena, insomma l'autore la fa un po' riposare, ma in questo modo tira un sospiro di sollievo anche il lettore.
Nel complesso Il fuoco che ti porti dentro mi è piaciuto, alla luce anche della complessità della narrazione, perché parlare di una madre così credo sia veramente molto difficile.
RENZO MONTAGNOLI - 11 giorni fa
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Fratelli nella notte - Cristiano Cavina
Cavina ha inteso mettere nero su bianco una vicenda familiare, che ha come teatro principale la fine del 1944 presso la linea Gotica, dove Mario, poco più che un ragazzo, partigiano, ferito gravemente all’addome viene salvato dal fratello maggiore che fra mille difficoltà e rischi lo porta in una villa dove verrà curato. I due non si parlavano da tempo, senza particolari motivi, ma per certo ormai si ignoravano. La trama, pur interessante, è opportunamente integrata con salti temporali all’epoca successiva, più vicina ai giorni nostri, ed è un espediente utile per chiarire i rapporti fra i due fratelli, con uno, il maggiore d’età, legato visceralmente alla terra e che si imbarca in conduzione di aziende agricole che regolarmente vanno male. Pieno di debiti, chiede in prestito dei soldi al fratello minore, che acconsente, memore della salvezza raggiunta grazie al suo soccorso.
E’ un romanzo breve e non potrebbe del resto essere più lungo visto che si narra di una particolare vicenda familiare, una storia a cui Cavina doveva tenere molto, anche perché, in un mondo rurale dove si spendono poche parole se non quelle strettamente necessarie, con individui che ignorano che cosa significhi un dialogo, qualcuno doveva pur narrare di un fatto di per sé non eclatante, ma che nel quadro generale di una guerra partigiana dava smalto al ferito e al soccorritore.
La parte migliore del libro è appunto quella dove si parla di questa fuga per la salvezza, tanto che sembra di vedere i due fratelli che arrancano nei boschi, con il più grande che porta spesso sulle spalle il più giovane, uno sforzo notevole e con il pericolo costante di essere intercettati o dai tedeschi o dalla Guardia Nazionale Repubblicana.
Quando si sposta versoi i giorni nostri predomina invece la figura del fratello maggiore, un uomo scontroso, probabilmente anche in preda all’ira per i suoi continui insuccessi, cornificatore incallito, insomma quello che non si potrebbe definire uno dei migliori soggetti, e con lui si arriverà alla fine del romanzo, che riserverà una sorpresa, che non intendo ovviamente svelare.
Fratelli nella notte non è certo un capolavoro, ma un libro onesto, un lavoro più artigianale che artistico, il che non toglie che sia di gradevole lettura.
RENZO MONTAGNOLI - 18 giorni fa
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Vegliare su di lei - Jean-Baptiste Andrea
Un uomo e una donna, con i loro sogni, lui che desidera realizzarsi con la sua arte, di cui ha un gran talento, lei che ambisce proiettarsi nel futuro, nell'uscire dalla staticità di un mondo in cui è nata e cresciuta. Viola, una nobile caratterizzata da un accentuato dinamismo, e Mimo, un nano che è un grande talento della scultura, sono i protagonisti di questo romanzo, scritto in modo accattivante, con una dose di giusta ironia, e in cui con abilità si mescolano la realtà e la fantasia. E' anche un racconto di epoche storiche che vanno dalla Grande guerra alla liberazione, passando per gli anni bui del fascismo.
Il segreto del successo di Vegliare su di lei è di parlare di amore, da quello per l'arte a quello per realizzare i propri sogni, con sullo sfondo un mondo in continua evoluzione, ma anche involuzione, visto che le belle speranze con cui si era aperto il primo conflitto mondiale si sono rapidamente estinte, soffocate dagli autoritarismi che sono stati gli strascichi più evidenti di quella guerra.
Lo stile dell'autore è quello che mi ha più sorpreso perché l'opera ha un ritmo incalzante, senza rallentamenti evidenti, supportata da quell'ironia di cui ho accennato e che finisce con il diventare lo stimolo per una riflessione del lettore.
Poi ci sono tutti gli ingredienti perché possa avvincere chi legge, perché induce alla commozione, date le caratteristiche dei due protagonisti ed è permeata da una specie di realismo magico che mi ha fatto venire in mente Cent'anni di solitudine, il più riuscito romanzo di Gabriel Garcia Marquez, da cui credo abbia tratto ispirazione.
Vegliare su di lei mi è piaciuto, come mi risulta sia stato gradito da tanti; se dovessi dare un giudizio stringato, direi che è senz'altro eccellente e considerato che la produzione attuale è per lo più di modesta levatura è cosa non da poco, tale proprio da caldeggiarne la lettura.
La trama non manca di certo di originalità, un valore notevole se rapportato alla banalità di tanti romanzi che sono editi in questi anni, i personaggi sono azzeccati, in particolare Mimo, un Michelangelo del XX secolo, ma anche l'androgina Viola, enigmatica e in continua fuga dal mondo dorato in cui è rinchiusa.
Forse non raggiunge i vertici propri del capolavoro, ma quello di cui sono certo è che Vegliare su di lei è un'indimenticabile storia di due esseri, un uomo e donna, che si cercarono sempre, reciprocamente attratti dalle loro personalità.
RENZO MONTAGNOLI - 29 giorni fa
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Il duomo racconta - Roberto Brunelli
La chiesa madre della diocesi mantovana è il Duomo, noto anche come Cattedrale di San Pietro. E' da quasi nove secoli che si affaccia su una delle più belle piazze del mondo, quasi in sordina, restando però ferma la sua centralità liturgica. Non ha certamente lo stile arioso della concattedrale di Sant'Andrea, né può ambire a raccogliere in sé folle debordanti stante la sua più ridotta dimensione, è stato frutto di successive riedificazioni e di ampi restauri tanto che non ha un'impronta artistica ben determinata, quasi fosse un arlecchino architettonico. Forse è anche per questo che non piace a molti mantovani, fra i quali il sottoscritto, e che preferiscono bearsi dell'imponenza, tuttavia per nulla greve, frutto dell'ingegno di Leon Battista Alberti, della basilica di Sant'Andrea. Ed è probabilmente per tale motivo che ho voluto accostarmi, con naturale curiosità, a questo libro sulla Cattedrale di San Pietro, onde saperne di più e conoscere un'opera che è lì da tanto di quel tempo che si può dire che ha assistito, muta testimone, alla storia della città.
La scelta, ponderata, si è rivelata giusta perché l'autore, monsignor Roberto Brunelli era un autentico esperto, un religioso che metteva passione e studio non solo nella sua vocazione, ma anche nella storia, soprattutto artistica, di Mantova.
In questo corposo volume di storia ce n'è un bel po', perché sono le vicende di un borgo quasi dalla sua nascita in avanti, abbracciando soprattutto il periodo d'oro della reggenza dei Gonzaga. In queste pagine gli anni corrono inesorabili e il Duomo è sempre lì, magari temporaneamente fuori uso per un incendio, ma immediatamente ricostruito, simbolo del potere del vescovo di Mantova, ma al tempo stesso faro religioso per gli abitanti della città.
L'opera è impostata in modo organico, per temi, così da apparire quasi di immediata consultazione; le immagini (fotografie di Toni Lodigiani) abbondano, tanto che verrebbe da dire che è inutile recarsi in Duomo a visitarlo, perché in questo modo è possibile farlo comodamente da casa. In un lasso di tempo così lungo non potevano mancare tantissime storie e infatti ci sono, così come i riferimenti all'iconografia religiosa, con tante particolarità e meglio ancora curiosità che svelano aspetti, caratteristiche, simbolismi che altrimenti forse non avremmo notato con una visita diretta.
Emerge indiscussa la conoscenza che si potrebbe definire enciclopedica di Roberto Brunelli che tuttavia non rende gravosa la lettura grazie alle ben note capacità di sintesi dell'autore.
Insomma, il libro ha il pregio di destare l'interesse anche di chi da tempo ha preferito senza indugio la Basilica di Sant'Andrea, che magari non cambierà il suo gusto, ma che di certo vedrà in nuova luce una costruzione che gli era sempre sembrata, più che buia, cupa, più che pesante, un incrocio di stili vari.
Da leggere quindi, un consiglio rivolto non solo ai mantovani, ma anche ai tanti turisti che sempre più apprezzano Mantova.
RENZO MONTAGNOLI - 29 giorni fa
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Il treno dei bambini - Viola Ardone
Ci sono periodi nella storia dell'umanità in cui sembrano trionfare la violenza e l'egoismo, in cui nascono immani conflitti e altri già iniziati si perpetuano determinando nell'uomo comune un senso di sbigottimento e di sfiducia con il crollo di qualsiasi sentimento, con un materialismo accentuato che soffoca ogni aspirazione di pace. E' in questi momenti che si sente la necessità di un aiuto, di un qualcosa che faccia tornare a sperare, convinti che, nonostante tutto, c'è ancora spazio per il cuore.
Ecco, Il treno dei bambini è una lettura che illumina il buio che spesso ci avvolge, è quello stimolo che induce la speranza che ancora si può cambiare, è una meravigliosa storia d'amore e di affetti profondi, un libro che porta alla commozione senza che si sia ricorso ad artifici per questo, perché è la vita, la passione, il sentimento, la dignità, la compassione non certo facile. La narrazione parte da una vicenda vera, una missione di soccorso ideata a Milano dalla dirigente comunista Teresa Noce e dall'appena costituita Unione donne italiane. La seconda guerra mondiale era finita da poco, lasciando un paese distrutto da ricostruire e tanta miseria, soprattutto al Sud. Ed ecco allora istituire i treni della felicità, convogli che partivano dalle aree più misere carichi di bambini destinati a famiglie senz'altro più abbienti del Nord e del Centro dell'Italia. L'idea era di sfamarli, di vestirli, di far nascere in loro, attraverso la solidarietà, la speranza in un futuro migliore e poi restituirli alle famiglie d'origine. Andò poi a finire che molti rimasero a tempo indefinito e furono adottati, altri, restituiti ai legittimi genitori, vennero aiutati a distanza, con un'onda d'affetto capace di superare fiumi e montagne. Si parla di numeri rilevanti, di oltre settantamila fanciulli, un'operazione colossale in cui entrò anche la propaganda del Partito Comunista, ma indipendentemente da ciò fu un'opera altamente meritoria.
Uno di questi bimbi è Amerigo Speranza, che vive in un basso con la madre, che ha un padre che gli si dice che è andato in America a cercar fortuna, ma che invece lascia supporre una nascita senza una legittima paternità. E' timido, ma anche deciso e amante del sapere, tanto che viene soprannominato Nobel. Parte anche lui e la scena in cui il treno si muove dalla stazione di Napoli e i fanciulli a bordo si tolgono i cappotti che l'organizzazione aveva loro regalato, gettandoli alle mamme che stazionano di fianco al binario perché potessero essere utilizzati dai fratellini, è una di quelle che è impossibile dimenticare. Del resto sono non poche le pagine indimenticabili, in cui emergono del tutto naturalmente i sentimenti e più di una volta è quasi d'obbligo prendere un fazzoletto per asciugarsi una lacrimuccia.
Non vado oltre, perché la trama è talmente bella e ben congegnata che un sunto della stessa sarebbe incapace di rendere l'idea.
Preferisco soffermarmi sullo stile, su un linguaggio che, specie nel bambino io narrante, è capace di cogliere quella mescolanza fra dialetto e italiano che impreziosisce i dialoghi, sempre facilmente comprensibili. E poi la descrizione del viaggio in treno, la capacità di far parlare dei bimbi tenendo conto della loro età e del loro grado di istruzione, le passioni, i disagi psicologici, la consapevolezza di essere nella storia restando sempre umili sono qualità di grande spessore e consentono, supportate da una struttura solida, di confezionare quello che definisco un autentico gioiello. Non capita facilmente di arrivare all'ultima pagina quasi di corsa, di chiudere il libro e di sentirsi trasformati, di vedere fra le tante brutture della vita reale ciò che è invece è bello, è umano, di sentire rinascere in sé la speranza per un mondo migliore.
RENZO MONTAGNOLI - 1 mese fa
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Metropolis - Flavio Soriga
Non intendo spendere tante parole, a differenza dell’autore che ne spende troppe. E’ un giallo, ma si perde presto la tensione tipica del genere con tante di quelle digressioni che confondono le idee. Greve come un macigno, si legge con fatica, insomma decisamente brutto.
RENZO MONTAGNOLI - 1 mese fa
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L'ananas no - Cristiano Cavina
Dopo Fratelli nella notte, onde anche addivenire a un giudizio più compiuto di questo narratore, ho preferito cimentarmi con la sua ultima pubblicazione, L’ananas no, un giallo romagnolo che ne è anche il sottotitolo. Cercavo conferme e purtroppo non ne ho trovate, perché in questo romanzo, che si svolge soprattutto in una pizzeria, c’è tanta carne al fuoco, oltre all’intenzione di permearlo di uno spirito più ironico che comico. I tanti personaggi e anche la difficoltà di mantenere un atteggiamento lieve, ma non vuoto, secondo me dà luogo a una discontinuità che non può che nuocere, soprattutto quando la vicenda ha colori che tendono al giallo.
E qui entrano in gioco le doti naturali e le capacità acquisite nel tempo con studi ed esperienze, comunque appena accennate tanto che ne risulta un lavoro che parte con le migliori intenzioni, che poi vengono però puntualmente disattese. Fra l’altro lo stile dell’autore non mi piace, troppo ridondante, a volte tendente al cazzeggio e in ogni caso inferiore a quello che si aspetterebbe da un narratore che dovrebbe essere di lungo corso.
RENZO MONTAGNOLI - 2 mesi fa
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Romagna mia! - Cristiano Cavina
Da un romagnolo mi sarei aspettato uno scritto sulla Romagna descritta come un grande paese, con personaggi indimenticabili, il tutto accompagnato da una vena più o meno marcata di ironia, e in effetti il tentativo c’è stato, nel senso che Cavina deve essersi ricordato dell’Amarcord di Fellini. Il risultato però è molto diverso, il che dimostra che gli svolgimenti dello stesso tema, per quanto ci sia il tentativo di scopiazzare quello del più bravo, non sono mai in grado di dare i risultati sperati. Perchè? La differenza sta nel manico, cioè nelle doti innate, in base alle quali c’è il narratore di razza e c’è chi scrive, chi si arrabatta a mettere giù di due righe , assai più da artigiano che da artista.
E cosi Romagna mia! anziché appassionarmi e divertirmi è stata l’occasione per annoiarmi, tanto sono limitate, e peraltro mal sviluppate, le idee.
Per concludere, non intendo tediare ulteriormente chi leggerà questa mia opinione, per conoscere Cristiano Cavina ho scelto tre sue opere e solo una, Fratelli nella notte, mi è sembrata discreta, a differenza delle altre due, troppo modeste.
RENZO MONTAGNOLI - 2 mesi fa
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